Napoli: un "Ponte" per restare umani

giovedì 15 novembre 2018
Napoli: un "Ponte" per restare umani

 

Napoli don Bosco: un "Ponte" per #RestareUmani

In un clima di crescente timore e diffidenza verso chi arriva nel nostro “Bel Paese” con la promessa di un futuro migliore e poi si ritrova incastrato in dinamiche infelici e poco umane, vi facciamo conoscere più da vicino, la bella realtà del “Ponte” - Comunità per minori stranieri non accompagnati- con sede presso l’Istituto Salesiano - Napoli Don Bosco. Esistono prospettive diverse per guardare il mondo e le cose che vi accadono, non sempre la risposta ai problemi è una sola, anzi esiste una varietà di possibilità che nemmeno immaginiamo. La Comunità per minori stranieri non accompagnati - il “Ponte” è una di queste; per conoscerla meglio abbiamo intervistato don Giovanni Vanni, salesiano responsabile della Comunità.

- Don Giovanni, come nasce la realtà del Ponte?

La realtà del Ponte nasce da un’esigenza della città di Napoli, che ha avuto negli anni passati 2 grandi sbarchi (gennaio 2017- maggio 2017), in cui una considerevole cifra di immigrati è giunta nella nostra città e tra loro molti minori non accompagnati. Il comune ci chiese una collaborazione per questa emergenza del territorio, e noi abbiamo prontamente risposto mettendo a disposizione un’ala del nostro istituto. Successivamente abbiamo istituzionalizzato la comunità rendendola, oggi, una comunità ufficialmente accreditata per accogliere i Minori Stranieri non accompagnati.

- Quanti minori ospita oggi la comunità?

Attualmente ne ospitiamo 12, ma abbiamo avuto la punta massima di 32. Molti di passaggio per pochi giorni, altri invece sono stati ospiti per più di un anno; in generale, in quasi 2 anni di attività, la nostra comunità ha ospitato in media più di 70 minori stranieri non accompagnati. Provengono quasi tutti dal Cono d’Africa Subsahariana: Senegal, Gambia, Guinea-Bissau, Guinea-Equatoriale, Costa d’Avorio, Nigeria e Camerun, con una piccola cellula Bengalese.

- Don Giovanni, ci può raccontare qualcosa rispetto alle loro storie di vita, immaginiamo abbastanza drammatiche, relative al viaggio che questi ragazzi hanno fatto per raggiungere l’Italia?

Le loro storie sono quasi tutte similari, accomunate dal non aver avuto modo di vivere l’adolescenza accanto alle loro famiglie. Il viaggio che tutti hanno compiuto si articola in 2 grandi tappe: l’attraversamento del deserto, (relativamente veloce) e il duro stop in Libia (da pochi mesi a due anni). Lo stazionamento il Libia è quello più duro da passare poiché qui, tanti finiscono in carcere vivendo situazioni estreme di violenza corporale, estorsione di denaro, abusi sessuali, e diventando spesso, oggetto di tratta umana tra i vari gruppi di mafie locali. Alcuni raccontano a fatica la brutalità delle punizioni di cui portano ancora le cicatrici; oppure ci raccontano di come, tratti in inganno, sono stati sfruttati da datori di lavoro fittizi che li hanno poi ripagati accompagnandoli in carcere. 

- Una volta giunti in Italia, come la comunità del Ponte si muove per la loro accoglienza?

Innanzitutto per loro, giungere in Italia dopo tutto quello che hanno passato è una grande liberazione, quindi il poter dormire in un letto, fare una doccia, mangiare e avere delle persone che si occupano di loro nelle necessità primarie è una significativa conquista. La cosa bella della nostra accoglienza salesiana è che di questi ragazzi non sappiamo nulla, non hanno carta d’identità, non parlano italiano, non conosciamo la loro storia, sappiamo solo che sono minori e che vengono da un viaggio devastante, per cui il nostro primo pensiero è quello di offrirgli un posto dove sentirsi accolti e rassicurati. Dopodiché, superata la fase di assistenza primaria, offriamo a questi ragazzi Attività di Integrazione: scuola d’italiano, la socializzazione con il territorio, (considerato a cerchi concentrici oratorio-quartiere- città – Italia -Europa, per molti meta finale del viaggio) e possibilità di inserimento lavorativo , con le dovute difficoltà note a tutti, nella forma di tirocinio e apprendistato incanalato in percorsi di formazione professionale (corsi di pizzaiolo, pasticceria e informatica); il tutto affiancato da attività ricreative e ludiche per permettergli di recuperare quell’adolescenza e quella spensieratezza che hanno perso in passato.

- Quali considerazioni rispetto al nuovo decreto governativo vuole condividere con noi? Come questo decreto influenza l’operato di tutte le comunità d’accoglienza per migranti minori e non?

Sui minori la legge non può dire di no! Li tutela offrendo loro accoglienza e supporto. Il problema è il futuro di questi ragazzi che nel momento del compimento del 18° anno d’età, perdono istantaneamente il diritto a tutta l’equipe di supporto. La maggior parte dei ragazzi è Richiedenti Asilo Politico, e la nuova normativa afferma che quest’ultimi sono fuori dai circuiti SPRAR (Sistema di Protezione Richiedenti Asilo e Rifugiati) Allora ci chiediamo: «dove andranno questi ragazzi? alla stazione? da amici?». Con il Centro Nazionale stiamo provvedendo, attraverso finanziamento di privati, ad istituire almeno un centro notturno, convertendone uno diurno già esistente, per offrire loro una prospettiva minima dopo il compimento del diciottesimo anno. Tutto ciò nella speranza di non essere accusati di favoreggiamento alla clandestinità (affermazione del tutto ironica in linea con le ultime vicende di cronaca).

- Allora quali possono essere le prospettive?

La famosa frase - «Li rimandiamo a casa loro!» -non ha fondamenti di nessun tipo. Loro non possono tornare a casa per 2 ragioni fondamentali: la prima è che non hanno denaro per tornarci, e qualora l’avessero, non hanno documenti identificativi come passaporto e carta d’identità per cui non possono rientrare nel loro paese. Ora capite bene, non possono restare in Italia, non possono essere riammessi nel loro paese soprattutto se hanno fatto richiesta d’asilo politico, allora che fanno? Dove vanno? Cittadini del mondo? Apolidi? La situazione non è facile. Parlando con il garante dell’infanzia, notavamo come questo decreto, aldilà delle ideologie politiche, non è stato fatto da un tecnico. Esistono problematiche tecniche così oggettive che non potevano passare così inosservate nella fase di stesura. È una situazione molto contorta con tanti punti interrogativi e perplessità.

 

Nella speranza che le cose si districhino e che si punti non solo al lato “gestionale” della problematica ma anche e soprattutto al lato “umano” di questi ragazzi, ringraziamo don Giovanni per il tempo dedicatoci e per aver voluto condividere con noi un frammento della operosità salesiana nel Sud Italia.

 

Antonella Colucci

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